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Educatori per comunità di minori

Da tempo è in atto un confronto serrato sulla carenza di figure di educatori per comunità di minori. L’Università è chiamata ovviamente in causa, come fucina di competenze. Il punto di vista dei Rettori degli Atenei della Lombardia.

La questione non è nuova: la “competenza” non crea gli “impulsi d’umanità” che sono necessari per affiancare la sofferenza, per riempire una parte del posto lasciato vuoto da una carenza “importante” d’affetto come quella genitoriale. Il problema, quindi, lo ribadiamo, non “nasce” adesso. Ma è sempre il momento giusto per parlarne, perché, in ogni caso, gli educatori di comunità devono essere formati attraverso un cammino di acquisizione di competenze. L’interrogativo è, semmai: cos’è una competenza, nell’ambito delle scienze educative?

Educatori per comunità di minori: il dibattito

Su giornali e social lombardi, nelle ultime settimane, vari articoli e post hanno “calcato la mano” sulla carenza di personale educativo nelle comunità per minori, e sul grave rischio che molte di tali strutture siano destinate alla chiusura. Ci sembra positivo e degno di nota il fatto che le istituzioni universitarie abbiano avvertito la necessità di “rispondere” in prima persona a tale questione, essendo oggi l’Università l’ente preposto alla formazione di animatori sociali ed educatori di comunità. Ci sembra matura la “presa in carico” della questione da parte dei Rettori e dei Direttori dei Dipartimenti. Secondo quanto precisano i docenti degli atenei lombardi, «in comunità nulla può essere lasciato al caso, è fondamentale e inderogabile una professionalità specifica. Da nessuna facoltà possono uscire “professionisti fatti e finiti”, ma l’Università può dare un contributo a sostegno della valorizzazione del lavoro educativo».

Questioni aperte

Innanzitutto i Rettori lombardi chiariscono che la mancanza di educatori non è ascrivibile al numero di laureati dei corsi in Scienze dell’Educazione, numero superiore al fabbisogno delle comunità! C’è da porsi, semmai, il problema del perché della difficoltà del reperimento degli educatori stessi. Esiste la problematica delle condizioni di lavoro dei professionisti, nonché il nodo delle autorizzazioni al funzionamento delle strutture. Il “centro” del problema non è da ricercarsi nell’Università. Anzi. In comunità “ogni pasto, ogni notte, ogni accompagnamento in bagno o a fare sport diventa una situazione da cui imparare qualcosa di sé, sul mondo, sugli altri, in vista di un’autonomia possibile[…]. A nulla, in comunità, si può reagire improvvisando o grazie alla buona volontà di chi ci lavora”. L’Università non è una fucina di “maghi”, ma è quanto di più vicino ci sia alla via da percorrere per l’alleggerimento del disagio di migliaia di bambini e ragazzi.

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