
Università di Torino, Milano e Trieste su “salute mentale e lavoro”
Una ricerca svolta nel Regno Unito da una squadra di lavoratori italiani ed inglesi ha dimostrato l’esistenza di un nesso decisivo tra salute mentale del lavoratore e qualità del lavoro stesso. La qualità del lavoro è stata “tradotta” in termini di autonomia decisionale, autorganizzazione del tempo ed altri fattori, soprattutto se sovrapposti alla misura della responsabilità che si detiene nel proprio settore lavorativo.
Il lavoro ci dà il pane e la dignità di esseri umani. Su questo crediamo non ci sia da discutere, ed è per questa ragione che la disoccupazione è un disagio esistenziale, un dolore (riteniamo che il termine non sia eccessivo) che riguarda gli aspetti dell’indipendenza e della tranquillità economica, ma anche le dimensioni del benessere e dell’equilibrio mentale. Ma avere un contratto di lavoro non vuol dire, di per sé, aver raggiunto una “serenità” dell’animo, o aver sistemato le cose nella propria vita. Il lavoro può “aggiustare” tanto, ma è anche una dimensione sociale nuova che esordisce nel vissuto profondo della persona, e può contenere gioie, soddisfazioni, ma allo stesso modo tensione, ansia, senso che ci venga richiesto qualcosa di insopportabile, ecc.
Salute mente e lavoro
Lo studio per la rivista Labour Economics, condotto dai docenti di Economia Politica Michele Belloni di UniTorino, Elena Meschi di Milano Bicocca e dal ricercatore Ludovico Carrino di UniTrieste, insieme al King’s College di Londra, ha evidenziato proprio la reazione della salute mentale di un campione di lavoratori britannici al cambiamento delle condizioni di lavoro. Le “variabili” che la ricerca ha preso in considerazione sono state la flessibilità di organizzazione degli orari di lavoro e il grado di autonomia che il lavoratore “possiede” nel mettere a frutto le proprie competenze specifiche. In breve, i focus sono stati: quanto il lavoratore può organizzare il proprio tempo secondo la consapevolezza della propria capacità produttiva? E quanta possibilità ha il lavoratore di sfruttare la propria creatività in spazi di autodecisionalità? Il “mix” di responsabilità elevate e di assenza di autogestione del lavoro, comporta purtroppo rischi elevati di depressione e di stati ansiosi.
Alcune percentuali
La qualità del lavoro è davvero come una “colorazione psichica”, una “veste dello stato mentale” della persona impegnata in una mansione lavorativa. Le percentuali che le ricerche di UniTorino, Bicocca e UniTrieste hanno messo in luce sono davvero nette, e non lasciano spazio a dubbi sulla convenienza di una nuova struttura delle funzioni lavorative, in cui l’autogestione di tempi e strategie possa avere più spazio. Nello specifico, le possibilità di depressione, con un miglioramento del grado di responsabilità personale sul lavoro (soprattutto per lavoratrici donne), scendono del 26%. Anche la percentuale riguardante gli indici di ansia muta di tanto, fino al 20%. Potremmo dire, grazie allo sforzo dei docenti e dei ricercatori italiani e inglesi coinvolti in questo studio, che “dar fiducia” al/lla lavoratore/trice paga sempre, in termini di produttività e in termini di benessere. Potremmo asserire, anzi, senza alcun dubbio, che benessere/autogestione/creatività è uguale a produttività.